Storia

Fattoria L' Olmo

Dalle alte colline di San Romolo a Settimo sopra Lastra a Signa, dove è situata la Fattoria L’Olmo, l’occhio può abbracciare un panorama vastissimo, dai monti della Consuma, al Monte Albano, all’Appennino pistoiese fino alle Alpi Apuane e in basso la vallata dell’Arno tra Firenze e la chiusa naturale della Golfolina.

Per questa posizione così strategica la zona ebbe un’attrattiva particolare per insediamenti di carattere prima feudale e in seguito signorile ed agricolo.

Il territorio, legato all’importante abbazia di Settimo e alla potente famiglia feudale dei Cadolingi, già prima del Mille doveva essere punteggiato di strutture fortificate più grandi come i vicini castelli di Monteorlandi e Monte Cascioli distrutti dai Fiorentini agli inizi del XII secolo, e altre più piccole ma dotate forse di torri poste a protezione di piccoli insediamenti rurali e adatte all’avvistamento e alla segnalazione di ospiti non desiderati che si affacciassero nella vallata dell’Arno. Con il progressivo allargarsi del dominio fiorentino questi insediamenti, dal XIII secolo, si trasformarono in “case da signore” per la ricca borghesia fondiaria fiorentina.

All’inizio del Quattrocento la zona vedeva un’alta concentrazione di beni fondiari appartenenti alla famiglia Albizi, in particolare ai fratelli Giovanni e Antonio di Tedice. A testimonianza di questa forte presenza sul territorio, poco dopo il 1429 Giovanni Albizi fece costruire sulla strada che porta alla chiesa di San Romolo un tabernacolo con una Maestà: sopravvissuto ai secoli, pur essendo ormai cancellato l’affresco, il tabernacolo ancora segna storicamente il territorio.

L’insediamento della Fattoria L’Olmo si inserisce in questo contesto architettonico e storico; allo stato attuale non vi sono elementi che permettano di riconoscervi una destinazione a fini originariamente difensivi del territorio. Il corpo principale dell’edificio ha una planimetria ad L, che si articola intorno a due compatte strutture sugli angoli nord e sud-ovest, che per le caratteristiche della muratura fanno pensare a delle torri, giunte a noi scapezzate: è possibile che l’origine dell’edificio sia quella della casa-torre signorile duecentesca.

Ben presto, forse ancora nel tardo XIII secolo e sicuramente nel corso del secolo successivo, l’edificio acquisì una volumetria più articolata e distesa, che andò configurandosi con la planimetria ad L che ancor oggi possiede nel suo nucleo principale, a racchiudere una corte, sugli altri due lati protetta da un’ alta muraglia, che mantiene una connotazione difensiva pur attenuata dalle mutate condizioni di sicurezza delle campagne.

Un elemento particolarmente distintivo dell’edificio, che si è conservato fino ad oggi, è rappresentato dall’arco che, aprendosi sulla cinta muraria, da accesso alla corte. Profilato da conci di macigno esso presenta un archivolto ribassato con estradosso a sesto leggermente acuto, che consente una datazione nel Trecento.
La pietra in chiave dell’arco è decorata da una quasi illeggibile figurazione, identificabile con un fiore o altro elemento raggiato.

L’edificio ha mantenuto la caratteristica conformazione “a corte” tipica dell’insediamento rurale tardo medievale che comprendeva intorno ad uno spazio all’aperto ma protetto da un muro di cinta, la casa “da signore” destinata al soggiorno del proprietario, quella del lavoratore e altri spazi interni attrezzati alla conservazione e lavorazione dei prodotti che venivano ricavati dal podere. Questo è potuto avvenire, pur con una serie di aggiunte nei secoli successivi, in quanto il complesso dopo il Quattrocento non ha subito la trasformazione in villa signorile ma ha mantenuto la sua destinazione rurale. Il luogo è ben identificabile sulle planimetrie antiche del territorio, trovandosi a pochi metri dalla strada che collegava il popolo e la chiesa di Sant’Ilario a Settimo alla chiesa di San Romolo.

Nell’Atlante delle strade, fabbricati e corsi d’acque della comunità di Lastra del 1861 (Archivio Storico del Comune di Lastra a Signa) esso è indicato con il toponimo di Mulettino che dalla documentazione rintracciata risulta essere la denominazione antica del podere. Esso è indicato anche nelle tardo-cinquecentesche Piante dei Popoli e Strade dei Capitani di Parte Guelfa (Archivio di Stato di Firenze), la magistratura fiorentina addetta appunto alla manutenzione della viabilità.

Qui è indicata la proprietà del fiorentino Spedale di San Matteo, con una prima indicazione topografica che ci consente di identificare perfettamente il luogo: l’edificio si trovava infatti lungo la strada che si dirigeva verso il popolo della chiesa di Santa Maria a Castagnolo, verso quell’aggregato rurale che oggi si chiama Poggio Vittorio, tracciato che è tuttora esistente. Lo spedale fiorentino di San Matteo, uno dei più importanti e antichi della città fu fondato alla fine del Quattrocento per lascito testamentario di Guglielmo detto Lemmo o Lelmo Balducci sulla piazza San Marco, sulla quale si affaciava con il suo loggiato quattrocentesco, all’inizio dell’attuale Via Ricasoli, accanto alla Galleria dell’Accademia.

Una delle Magistrature fiorentine, l’Arte del Cambio fu incaricata dal Balducci di gestire lo spedale e tutti i suoi beni attraverso un camerlengo.

Soppresso dal granduca Pietro Leopoldo nel 1784 lo spedale fiorentino fu trasformato nell’Accademia di Belle Arti: i suoi numerosi beni fondiari, tra i quali lo stesso Mulettino passarono allo spedale di Santa Maria Nuova per essere poi in gran parte venduti. Lo spedale di San Matteo, che nella zona di San Romolo a Settimo, già dal Quattrocento possedeva dei poderi, soprattutto boschivi acquistò il podere Mulettino il 31 gennaio 1556. I 605 scudi con i quali fu acquistato andarono ad alimentare la dote di Ippolita, figlia di Jacopo di Giovan Francesco Fantoni, che a sua volta aveva comprato il podere nel 1534 da Caterina di Rinieri Ghinetti vedova di Cristoforo di Marco Bracci. Come gli altri beni fondiari il podere con terreni coltivati a vite e olivo, ma soprattutto boschivi, era allivellato a contadini che lo lavoravano; lo spedale ricavava dalle terre di Mulettino soprattutto legna, olio, vino, frutta. In un elenco dei beni fondiari dello Spedale è descritto con una certa cura l’edificio principale del podere, che è perfettamente riconoscibile in quello che è giunto fino a noi dopo quasi cinque secoli: “Un Podere con casa da padrone e da lavoratore unite insieme con antiporto, e corte con cisterna e frutti di melagrani attorno, volte, stalle, frantoio da olio, forno, magazzino, colombaia e tutte sue appartenenze, posto nella Podesteria del Galluzzo, popolo di S. Romolo a Settimo, luogo detto Mulettino” (Archivio di Stato di Firenze, Ospedale di San Matteo detto di Lemmo Balducci n. 97, c. 31).

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